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LA CREAZIONE DI NUOVE IMPRESE
Non c’è dubbio sul fatto che il risanamento della finanza pubblica dipenda essenzialmente dalla capacità di crescita della nostra economia. Ed è altrettanto pacifico che diversi sono gli ambiti in cui bisogna intervenire per promuovere tale crescita: dal fisco alla razionalizzazione della spesa pubblica, dalle politiche finanziarie agli interventi infrastrutturali: la crescita dell’economia italiana è tanto lenta che solo azionando in modo coerente tutte le leve di politica economica è possibile definire un credibile “piano per la crescita”.
Ma qualunque “piano per la crescita” risulterebbe comunque miope se non definisse come uno dei suoi obiettivi prioritari la creazione di nuove imprese.
Che le nuove imprese (e le piccole imprese in generale) svolgano un ruolo decisivo nel promuovere lo sviluppo dei moderni sistemi economici, è infatti questione oramai acclarata, sia a livello dottrinale che in termini di evidenza statistica. Il problema è che il Legislatore e la Pubblica Amministrazione (PA) non sembrano tenere adeguatamente conto dell'importanza di tale ruolo, determinando un contesto normativo ed organizzativo che, al di là delle intenzioni, risulta, nei fatti, assolutamente inadeguato alle esigenze vitali delle piccole imprese. All'adozione di provvedimenti "speciali" di natura finanziaria e fiscale a favore delle piccole imprese si sovrappongono infatti leggi ordinarie e carenze organizzative della PA che producono effetti negativi ben più importanti a carico delle imprese stesse.
Si tratta di un problema annoso, che affonda probabilmente le sue radici anche in una anacronistica concezione di sviluppo industriale ed in un sostanziale fraintendimento del ruolo economico delle piccole imprese. Nel secondo dopoguerra la dottrina economica dominante propugnava infatti la supremazia delle grandi imprese. La piccola dimensione era ritenuta una sorta di "anomalia fisiologica": adatta al massimo per le primi fasi di sviluppo di sistemi economici arretrati, destinati però ad evolversi inevitabilmente in realtà dominate dalle grandi imprese. Interventi a favore delle piccole imprese venivano ritenuti accettabili solo per motivi di natura sociale e politica ma non certamente perchè fosse riconosciuta la validità economica di questo modello imprenditoriale. A partire dagli anni ottanta, l'evidenza dei fatti ha "costretto" però la dottrina a rivalutare il ruolo delle piccole imprese nelle economie avanzate: nei paesi dell'OCSE, tra il 1972 e il 1981, a dispetto degli annunciati processi di razionalizzazione e concentrazione, il numero delle imprese è aumentato in modo imponente, passando da 29 a 45 milioni. E' risultato chiaro come nei sistemi economici più evoluti, i tradizionali fattori produttivi del lavoro e del capitale siano meno decisivi per generare la crescita economica, a vantaggio di altre variabili quali la conoscenza, la flessibilità e la specializzazione. Variabili che le organizzazioni produttive di piccole e medie dimensioni sembrano riuscire a gestire in modo più efficace. Studi recenti, condotti in diversi paesi occidentali (UK, USA, Spagna, Svezia, Germania) (1), confermano che le aree in cui si registra un notevole incremento dell'attività imprenditoriale presentano più alti tassi di crescita ed evidenziano anche che le imprese piccole e nuove diventano sempre più decisive nello sviluppo dell'occupazione.
Le piccole imprese costituiscono oramai una componente "virtuosa" dei sistemi economici moderni. Esse non sono delle "anomalie" da tollerare o delle malate da assistere, ma sono organizzazioni economicamente vitali (a prescindere dalle loro valenze positive anche sotto il profilo sociale: dislocazione capillare delle attività produttive e maggior equilibrio territoriale, promozione della cultura dell'impegno e della responsabilità, etc..) e che hanno solo bisogno di operare in un contesto normativo ed organizzativo non troppo penalizzante. C'è quindi bisogno di ripensare radicalmente alle politiche per lo sviluppo delle piccole imprese, anacronisticamente ispirate da una logica assistenzialista, provvedendo, e questa è la nostra prima proposta, ad una radicale trasformazione del modello d' incentivazione: meno sussidi e più servizi.
E' necessario integrare e progressivamente sostituire i contributi finanziari e le agevolazioni fiscali con iniziative di supporto gestionale, soprattutto nella fase di start up. Iniziative di supporto che pragmaticamente, a prescindere dall'auspicabile evoluzione del contesto normativo ed organizzativo generale, siano in grado, nel breve termine, di raccordare le caratteristiche di tale contesto con le specifiche esigenze delle piccole imprese. Due sono gli ambiti in cui le nuove imprese hanno bisogno di essere maggiormente supportate:
1. gli adempimenti amministrativi in senso lato (legali, contabili, fiscali, etc.); 2. le problematiche industry specific (comprensione del contesto competitivo, organizzazione, accesso ai canali commerciali, etc.).
Per quanto riguarda gli adempimenti amministrativi, essi costituiscono una vera e propria barriera all'entrata. L'eccesso di regolamentazione e la scarsa qualità della stessa svolgono una funzione sostanzialmente castrante per gli aspiranti imprenditori e costituiscono un fardello spesso insopportabile anche per coloro che, nonostante tutto, riescono a creare una nuova impresa. La gestione delle sole problematiche amministrative comporta un impegno "urgente", che costringe quasi sempre il neo imprenditore-manager a trascurare attività organizzative e commerciali d' importanza strategica ed in un momento particolarmente delicato della vita aziendale: con effetti spesso letali. Le nuove imprese "che non ce la fanno" si sommano a quelle "mai nate" in un tragico bilancio sulle vittime della scadente regolamentazione. E si tratta, si badi bene, di una selezione naturale tutt' altro che virtuosa: molte imprese infatti pur di nascere e sopravvivere, per non essere schiacciate dal peso di norme inadeguate, decidono semplicemente di ignorarle: scelgono di non apparire troppo o di non apparire affatto. Ad essere esclusi dal contesto imprenditoriale risultano perciò soprattutto i soggetti più trasparenti e desiderosi di operare nel rispetto delle norme. E' una considerazione di ovvia evidenza, ma di cui non ci sembra che si tenga adeguatamente conto quando si parla, ad esempio, di lotta all'evasione fiscale e contributiva. Per quanto riguarda le problematiche industry specific si tratta di supportare il neo imprenditore con competenze complementari a quelle di cui già dispone, per consentirgli di valorizzare a pieno la sua idea imprenditoriale. Nell'economia industriale, caratterizzata dalla sostanziale eccedenza della domanda rispetto all'offerta, le competenze chiave erano quelle di tipo produttivo: una buona idea di prodotto e la capacità di realizzarlo in modo efficiente erano quasi sempre sufficienti per il successo di un progetto imprenditoriale. Nell'economia postindustriale le competenze necessarie diventano molteplici ed è irrealistico immaginare che il neo imprenditore le possegga tutte, così come è improbabile che, almeno nella sua fase iniziale, la piccola impresa disponga di mezzi adeguati per acquisire ed efficacemente organizzare tali competenze. Il problema è molto spesso ancora più sostanziale ed è un problema di scarsa consapevolezza da parte del neoimprenditore riguardo alla complessità del contesto competitivo in cui andrà ad operare e, conseguentemente, riguardo alla necessità di acquisire ulteriori competenze rispetto alle proprie. Le problematiche sulle quali le nuove imprese hanno bisogno di essere assistite sono quasi sempre quelle strategiche e commerciali in senso lato.
Assodato che le piccole imprese hanno bisogno più di servizi che di sussidi e chiarita anche la natura di tali servizi, andiamo a vedere, e questa è la nostra seconda proposta, chi debba erogare tali servizi: organizzazioni private convenzionate con la PA. Un primo motivo per assegnare ai privati il compito di assistere le neo imprese è una semplicissima e fondamentale esigenza di credibilità. Stiamo parlando infatti di servizi che servono in massima parte ad ovviare ai guasti prodotti dalla PA: come potrebbe la stessa PA proporsi credibilmente per ovviare a problemi da essa stessa generati ? C'è un problema di fiducia nei confronti della PA, vista solo come fonte di inutili complicazioni e nella sua funzione prevalentemente sanzionatoria e c'è un rapporto di fiducia da ricostruire. In tale prospettiva l'azione di "agenti" che operano su mandato della PA, ma con modalità e spirito in linea con le esigenze delle neo aziende private, può risultare fondamentale. Un secondo motivo per preferire le organizzazioni private è una questione di affinità, come sarà piu facile spiegare dopo aver esposto, e questa è la nostra terza proposta, una possibile iniziativa: lo Sportello Unico per le Nuove Imprese. Il neoimprenditore potrà rivolgersi ad un centro servizi abilitato, presentando un' unica domanda di inizio attività. Il centro servizi fungerà anzitutto da "tutor amministrativo" diventando l'unico interlocutore dell'imprenditore per ogni problematica di natura amministrativa (in senso lato) e provvedendo ad ogni adempimento per la creazione della società e per la gestione amministrativa della stessa nei suoi primi anni di vita. Il centro servizi sarà autorizzato dalla PA a svolgere la maggior parte delle attività necessarie e potrà consorziarsi con altri operatori per gli adempimenti residuali. Il neoimprenditore che sceglierà i servizi dello Sportello Unico potrà richiedere anche l'assistenza di uno "tutor specialistico", che avrà il compito di consigliarlo sulle problematiche specifiche del sistema competitivo in cui andrà a collocarsi la neoimpresa. Lo sponsor opererà come un vero e proprio consigliere, supportando il neoimprenditore in tutte le principali decisioni gestionali. Il costo dei servizi a carico dell'impresa sarà di tipo forfetario e definito, mediante apposita convenzione, in misura ridotta rispetto alla somma dei costi che l'imprenditore dovrebbe sostenere per acquistare separatamente i vari servizi. I clienti pagheranno il 50% del forfait il primo anno ed il 50% ripartito in quote annuali negli anni successivi. Se il cliente conseguirà utili sufficienti nel periodo di assistenza, al consulente spetterà un bonus pari al valore del forfait. Quest'ulteriore compenso sarà esente da ogni imposta mentre il cliente ne potrà dedurre il costo in misura superiore al 100% (godrà quindi anche di un incentivo fiscale). Le neo imprese che usufruiranno di tali agevolazioni opereranno in piena trasparenza contabile e finanziaria, essendo delegato al centro servizi anche il controllo dei flussi finanziari che saranno generati sull'unico conto corrente bancario che l'azienda potrà utilizzare nel periodo di assistenza.
Molteplici appaiono i vantaggi di questa soluzione, per tutti i soggetti coinvolti: - il neo imprenditore, oltre a beneficiare di un' enorme semplificazione gestionale e disporre del necessario supporto specialistico, otterrà anche un significativo abbattimento dei costi; - si creerà un' opportunità anche per i professionisti chiamati ad erogare i servizi, che, "abilitandosi" come "Sportello Unico", potranno differenziarsi dai concorrenti e acquisire nuovi clienti da fidelizzare; - l'erario concederà aiuti solo a seguito della creazione di nuova base imponibile e solo ad imprese che avranno scelto di operare in perfetta trasparenza. La caratteristica peculiare di questo sistema di supporto ed il suo principale punto di forza (e torniamo con ciò a spiegare perchè sarebbe preferibile che i sevizi fossero erogati da organizzazioni private) è la creazione di un "contesto di sponsorship", in cui vari soggetti sono concretamente interessati al successo delle nuove imprese. Un ambiente fortemente imprenditoriale, in cui il neoimprenditore ed i professionisti che lo supportano, investendo tutti nel successo della nuova azienda, sono accomunati dallo stesso atteggiamento e presumibilmente dalle stesse logiche operative. Ciò dovrebbe, fra l'altro, rappresentare un vantaggio decisivo rispetto a modelli di tutorship fondati su incubator "istituzionali", gestiti, ad esempio, da Sviluppo Italia o da enti territoriali, contraddistinti da logiche di funzionamento troppo burocratiche ed ai quali, inevitabilmente, fa difetto proprio la vis imprenditoriale ed il suo prezioso pragmatismo.
Trattandosi di favorire la creazione di nuove imprese non ci sembra problema da poco.
(1) - Hart e Hanvey, 1995, UK - Reynolds, 1999, USA - Callejon e Segarra, 1999, Spagna - Foelster, 2000, Svezia - Audretsch e Fritsch, 2002, Germania. |